Audizione XII Commissione Camera Deputati
Disegno di legge n.2617 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”
- L’audizione riguarda la delega per il riordino e la revisione organica della disciplina degli enti privati del “terzo settore” e delle attività che promuovono e realizzano finalità solidaristiche e di interesse generale (proposte di legge n. 2071 e n. 2095 e disegno di legge n. 2617).
In particolare l’argomento per il quale all’A.N.AC. è stata richiesta un’audizione attiene all’impatto delle norme sulla trasparenza, l’incompatibilità e l’inconferibilità nella Pubblica Amministrazione, che estenderò, più in generale, al piano della prevenzione della corruzione. La disciplina normativa attuale è rinvenibile nella legge 6 novembre 2012, n. 190, nel decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 e nei decreti legislativi n. 33 del 14 marzo 2013 e n. 39 dell’8 aprile 2013.
L’assunto è che, esistendo una disciplina di portata generale in materia, occorra domandarsi se essa si applichi, e – in caso positivo – in quale misura, agli enti del “terzo settore”.
- La prima questione da valutare riguarda l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo della normativa citata.
- Dal punto di vista soggettivo la disciplina riguarda non solo ogni amministrazione pubblica, ma anche:
- ogni ente privato in controllo pubblico, come definito dal d.lgs. n. 33/2013 (art. 11, modificato dall’art. 24 bis, co. 2, del d.l. n. 90/2014) e dal n. 39/2013 (art. 1, co, 2, lett. c); si tratta di un controllo che può attuarsi tanto sul piano finanziario, quanto mediante la nomina di persone destinate a ricoprire una posizione apicale;
- ogni ente di diritto privato in cui la P.A. abbia una partecipazione minoritaria (art. 11, 3, del d.lgs. n. 33/2013 e art. 1, co. 2, lett. d), del d.lgs. n. 39/2013);
- ogni ente privato finanziato o regolato dalla P.A. (art. 22 del d.lgs. n. 33/2013; art. 1, co. 2, lett. d), del d.lgs. n. 39/2013).
Quanto al «Terzo settore» si tratta di una varietà di enti di natura privatistica caratterizzati da una grande diversificazione dal punto di vista della loro struttura, organizzazione e attività: assumono la forma di ONLUS, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale o di volontariato, ONG, ….
Sembrano essere caratterizzati da alcuni pochi dati comuni, costituiti dalla non distribuzione dei profitti, dall’autogoverno, dall’impiego di lavoro anche di volontariato, dall’organizzazione su base democratica.
- Dal punto di vista oggettivo la disciplina riguarda l’ente che svolga un certo tipo di funzioni, individuate (ancora dall’articolo 11 del d.lgs. n. 33/2013) nelle «attività di pubblico interesse» disciplinate dal diritto italiano o dal diritto dell’Unione europea che consistano nell’esercizio di funzioni amministrative, di produzione di beni/servizi a favore della P.A., ovvero di gestione di servizi pubblici.
I due presupposti di cui ai punti 2.1 e 2.2 devono ricorrere cumulativamente affinché a tali enti privati si applichi la disciplina adottata per la Pubblica Amministrazione.
La normativa non è di agevole impiego da diversi punti di vista. Stante la menzionata diversità di natura, struttura e organizzazione degli enti del “terzo settore”, nonché la differente attività da essi svolta, si tratta di valutare caso per caso se l’ente sia raggiunto dalla disciplina in esame o meno. Ricorrono inoltre problemi ermeneutici: nonostante essa contempli anche proposizioni definitorie, non sono immediatamente comprensibili talune nozioni, quali, per esempio, quella di «attività di pubblico interesse»; di «ente di diritto privato regolato o finanziato» da una Pubblica Amministrazione; di «ente di diritto privato sotto controllo pubblico». Come si dirà poi, l’A.N.AC. auspica che si possano ricavare spazi per intervenire sui criteri direttivi della delega che si vuole conferire al Governo (con disegno di legge n. 1577) per adottare disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 33/2013 e n. 39/2013 in materia di trasparenza, incompatibilità e inconferibilità di incarichi (art. 6).
Se i due presupposti cumulativamente non ricorrono, per garantire il comportamento etico e/o non corruttivo dell’ente si applicano norme diverse. In particolare rileva il regime stabilito dal d.lgs. n. 231 dell’8 giugno 2001, secondo una giurisprudenza ormai consolidata (v. in particolare per gli enti in partecipazione pubblica la sentenza della Corte di Cassazione n. 28699/2011; più in generale per gli enti del “terzo settore” le sentenze della Corte di Cassazione n. 15657/2011; e del Tribunale di Milano n. 11/820).
- Scendendo dal piano generale a quello particolare, si tratta quindi di verificare l’applicazione della normativa richiamata a singole situazioni.
- In materia di prevenzione della corruzione
La normativa (art. 1, co. 49, 59, 60 e 61 della legge n. 190/2012) è stata interpretata nel senso di estendere l’obbligo di adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione:
- a tutti gli enti pubblici anche nazionali e non solo (come esplicitamente stabilito) e a quelli locali e territoriali (questione che qui non rileva direttamente);
- agli enti di diritto privato in controllo pubblico. Essi, al fine di evitare inutili ridondanze, hanno l’obbligo di dotarsi – se già dispongano di un modello di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231/2001 – di un «modello 231 aggravato», che tenga cioè conto anche delle richieste previste nella legge n. 190/2012 (per esempio, tra l’altro, in materia di adozione del Piano triennale suddetto e di individuazione di un responsabile della prevenzione della corruzione). In questo senso dispone, ultra lege, il punto 3.1.1. del P.N.A.
A questo assetto si aggiunge la delibera della CIVIT n. 34/2012, secondo la quale la legge n. 190/2012 si applica anche agli istituti pubblici di assistenza e beneficienza in attesa della loro trasformazione in soggetti di diritto privato (ex art. 10 della legge n.328/2000).
3.2. In materia di trasparenza.
Lo scopo della disciplina di prevenzione della corruzione si consegue anche tramite l’estensione delle regole della trasparenza all’ambito dei rapporti che intercorrono tra cittadini, P.A. ed enti privati.
Il modello di trasparenza contenuto nella legge n. 190/2012 e nel decreto attuativo n. 33/2013 contempla l’obbligo di ciascuna P. A. di pubblicare taluni dati e informazioni e, conseguentemente, il diritto del cittadino a conoscerli. Non si tratta, dunque, di un modello di trasparenza paragonabile a quello accolto dal «FOIA» statunitense e da altri Paesi europei: quest’ultimo si ispira al principio di accessibilità totale dei documenti della P.A. da parte del cittadino («total disclosure»), con il solo limite delle esigenze di riservatezza correlate a determinati interessi pubblici e privati. Diversamente nell’ordinamento italiano la pubblicità è una regola di stretto diritto positivo, garantita nella misura in cui una norma di legge la preveda come obbligo.
Questo modello italiano ha subito una revisione ad opera del d.l. n. 90/2014, il quale ha allargato agli enti privati partecipati e controllati gli obblighi di trasparenza previsti per le pubbliche amministrazioni.
Nel dettaglio:
- Una prima disposizione utile è contenuta nell’art. 22 del d.lgs. n. 33/2013. La norma pone in capo alle A. che vigilino o finanzino enti privati l’obbligo di comunicare taluni dati/informazioni assai significativi, quali: la ragione sociale, la misura dell’eventuale partecipazione dell’amministrazione pubblica, la durata dell’impegno, l’onere complessivo a qualsiasi titolo gravante sul bilancio dell’amministrazione per l’anno in corso, il numero dei rappresentanti dell’amministrazione negli organi di governo e il trattamento economico a ciascuno di essi spettante, i risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari, i dati relativi agli incarichi di amministratore dell’ente e il relativo trattamento economico complessivo (co. 2).
Con questa disposizione indirizzata alla P. A. si consente al cittadino di conoscere, per esemplificare, a quali enti privati la propria Amministrazione comunale accordi finanziamenti; quali enti essa controlli sul piano finanziario, come su quello della nomina di persone che lavorano in organi di indirizzo politico o in posizione dirigenziale.
- Una seconda disposizione pertinente è contenuta nell’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, secondo la nuova versione disposta con l’art. 24 bis del d.l. n. 90/2014. La disposizione – come anticipato di difficile interpretazione – estende gli obblighi di trasparenza agli enti privati in controllo pubblico «limitatamente alle attività di pubblico interesse». L’A.N.AC. si sta interrogando sulla portata di questa disposizione, alla luce della considerazione di diversamente graduare gli obblighi di trasparenza: un’ipotesi percorribile potrebbe rivelarsi quella di sottoporre agli obblighi di trasparenza l’ente partecipato dalla P.A. in posizione di minoranza in relazione alle sue sole attività (di pubblico interesse); l’ente posto sotto controllo pubblico in relazione anche alla sua
- Da questa previsione discende che sono tenute alla pubblicazione di determinati dati/informazioni le persone che nell’ente controllato o partecipato ricoprono cariche nell’organo di indirizzo politico (art. 14 d.lgs. n. 33/2013), nonché le persone che ivi appartengono alla dirigenza amministrativa (art. 15 d.lgs. ult. cit.). La delibera A.N.AC. 144/2014 non è applicabile agli enti del ”terzo settore”, in quanto per ora riferibile alle sole PP.AA. e agli enti di diritto pubblico. A breve sarà predisposta una delibera di portata più generale.
- Ne discende, inoltre, che in materia di trasparenza i poteri di A.N.AC. si estendono ai suddetti enti. Si tratta di poteri:
- di regolazione (esercitati con direttive, pareri interpretativi, linee guida);
- di vigilanza (sulla mancata adozione del Piano triennale sulla trasparenza; sulla mancata presenza nel sito del singolo ente di dati ritenuti di pubblicazione obbligatoria);
- di ordine (ai singoli enti, relativamente all’obbligo di pubblicare i suddetti dati/informazioni)
- di sanzione (nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l’adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento) accompagnati dall’obbligo di segnalazione «all’Autorità amministrativa competente» (altra espressione di difficile interpretazione) dei casi di mancata comunicazione delle informazioni e dei dati e di violazione degli obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 47 del d.lgs. n. 33/2013, ai fini dell’esercizio del potere sanzionatorio previsto dal medesimo articolo.
Un esempio dell’estensione dell’obbligo di trasparenza agli enti di diritto privato implicati dalla normativa in questione tratto dalla prassi di A.N.AC. è rinvenibile nella FAC 4.4/2013, secondo la quale:
Gli Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficienza (IPAB), qualora non abbiano provveduto né alla privatizzazione né alla trasformazione in Aziende pubbliche di servizi alla persona, sono da ritenersi enti pubblici regionali e, quindi, in considerazione di tale qualificazione, sono da ricomprendersi fra gli enti cui si applicano le disposizioni del d.lgs. n. 33/2013.
Laddove trasformati in Aziende pubbliche restano comunque inclusi nel novero delle “aziende ed amministrazioni” di Regioni, Province e Comuni, che l’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 contempla nell’ambito soggettivo di applicazione. Laddove invece siano stati privatizzati, occorrerà valutare caso per caso se rientrino fra i soggetti privati tenuti alla applicazione della disciplina in materia di trasparenza.
3.3. In materia di inconferibilità e incompatibilità
Nel caso rileva la disciplina stabilita con d.lgs. n. 39/2013. Il legislatore si è proposto di affrontare il rapporto tra P.A. e cittadini nelle loro organizzazioni sociali, con il fine di costruire un’amministrazione condivisa tramite l’esercizio delle funzioni pubbliche in modo imparziale da parte dei componenti degli organi di indirizzo politico e della dirigenza amministrativa.
La disciplina posta presenta tuttavia un grande limite, occupandosi di inconferibilità e incompatibilità in relazione ai soli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativi di vertice, e non anche agli incarichi politici, di governo.
- L’inconferibilità, come noto, consiste nella preclusione (“a monte”) permanente o temporanea ad attribuire incarichi dirigenziali nella P.A. a chi negli ultimi tre anni (art. 1, co. 2, lett. g), d.lgs. n. 39/2013, come dettagliatamente specificato negli artt. 4-8 del medesimo decreto):
– abbia svolto incarichi/ricoperto cariche in enti di diritto privato finanziati o regolati dalla stessa P.A.;
– abbia ivi svolto attività professionali;
– sia stato componente di organi di indirizzo politico in quello stesso ente.
- L’incompatibilità consiste nell’interdire (“a valle”) l’accettazione di certi incarichi (art. 1, co. 2, lett. h), d.lgs. n. 39/2013 come dettagliatamente specificato negli artt. 9-10, 13-14 del medesimo decreto).
La norma obbliga dunque il soggetto al quale venga conferito l’incarico dirigenziale nella P.A. a scegliere entro 15 giorni (a pena di decadenza) tra la permanenza nell’incarico e:
– l’assunzione/svolgimento di incarichi/cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla P.A. che conferisce l’incarico;
– lo svolgimento di attività professionali per l’ente;
– l’assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico.
Tali disposizioni sono state precisate e interpretate da alcune delibere della CIVIT. In particolare si menzionano: la n. 46/2013 ( in tema di efficacia nel tempo delle previsioni contenute nel d.lgs. n. 39/2013); la n. 48/2013 (circa il non impedimento alla conferma dell’incarico già ricoperto); la n. 58/2013 (in relazione all’applicazione delle disposizioni al settore sanitario).
L’A.N.AC. è inoltre intervenuta con “orientamenti” interpretativi, quali il n. 35/2014 (art. 9, co. 2, in materia di assenza di incompatibilità tra la carica di Presidente del Consiglio di amministrazione di una fondazione in controllo pubblico e l’attività di notaio); n. 50/2014 (art. 10, co. 2, in materia di assenza di incompatibilità fra l’incarico di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una medesima Regione e lo svolgimento di un’attività professionale, nella medicina convenzionata assunta o mantenuta dal coniuge e dal parente o affine entro il secondo grado); n. 65/2014 (che accerta la sussistenza del divieto di contrarre con la P.A. di un dipendente che negli ultimi tre anni di servizio abbia esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto della stessa, anche presso un settore di attività diverso, ma comunque afferente alle attività precedentemente svolte, allorquando egli eserciti un’attività professionale presso soggetti privati destinatari dei suddetti poteri)[1].
3.4. In materia di segnalazioni del dipendente che rilevi condotte di illegalità inerenti all’attività dell’ente.
Agli enti di diritto privato del “terzo settore” soggetti all’applicazione della normativa riservata alla P.A. si applicano anche le disposizioni contenute nella legge n. 190/2012 in materia di whistleblowing (art.1, co. 51, come integrate dall’art. 19 del d.l. n. 90/2014).
- Infine, se nell’esame del disegno di legge delega al Governo per la riforma del “terzo settore”, codesta Commissione riscontrasse esigenze specifiche per modificare i decreti legislativi nn. 33 e 39/2013 o anche la legge n. 190/2012, è possibile che si possano ricavare spazi per introdurre, nella delega al Governo in materia di trasparenza, incompatibilità e inconferibilità (ddl n. 1577), alcune modifiche al suo art. 6.
La delega è indirizzata a porre rimedio a incongruenze contenute nella legislazione vigente in materia; a risolvere difficoltà interpretative; a dare organicità alla disciplina vigente; a valutare in tema di trasparenza se vi siano carenze negli obblighi di pubblicazione, o se, al contrario, vi sia un carico sproporzionato vuoi per la quantità eccessiva di dati/informazioni richiesti di pubblicazione, vuoi a fini del rispetto del diritto alla riservatezza. Auspicabilmente si potrebbe verificare anche la possibilità di integrare i criteri della delega, per meglio determinare le competenze di A.N.AC. in materia e l’assetto di altre questioni pertinenti.
Da ultimo si ricorda che A.N.AC. ha attivato uno specifico “tavolo” di lavoro con il MEF in relazione al “terzo settore” finalizzato a valutare la condizione giuridica degli enti di diritto privato partecipati o controllati, al fine di pervenire a classificare e definire le diverse categorie di enti coinvolti, chiarendo le indicate difficoltà ermeneutiche.
Roma, 18 novembre 2014
Nicoletta Parisi
(Consigliere A.N.AC.)
Allegato n. 1
ORIENTAMENTI IN MATERIA DI INCONFERIBILITA’ E INCOMPATIBILITA’ DI INCARICHI PRESSO LE P.A. E GLI ENTI PRIVATI IN CONTROLLO PUBBLICO APPROVATI DALL’AUTORITÀ E PUBBLICATI SUL SITO ISTITUZIONALE
Orientamento n. 35/2014
Non sussiste alcuna ipotesi di incompatibilità, ai sensi dell’art. 9, secondo comma del d.lgs. n. 39/2013, tra la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una fondazione in controllo pubblico e lo svolgimento dell’attività notarile.
Parole chiave: ANTICORRUZIONE – art. 9, secondo comma d.lgs. n. 39/2013 – preside
[1] V. allegato n. 1 per ulteriore prassi interpretativa.
